Musei, lasciamo lo smartphone negli armadietti

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"La gente si accalca davanti ai dipinti, spintona, sgomita, scatta una foto e prosegue senza neppure guardare il quadro". Inutile specificare in quale museo vada in scena tanta mestizia: potrebbe essere uno qualsiasi dei più noti al mondo, dal Louvre agli Uffizi passando per il Prado, in un qualsiasi momento dell’anno. Ma soprattutto d’estate.

(Anche se non sembra) luglio sta per finire e ad agosto milioni di persone – milioni di voi – affolleranno (anche, spero, dopo Mykonos e Formentera) città d’arte italiane e internazionali.

Il mio è un appello disperato: non arriviamo al punto in cui dovranno vietarci lo smartphone o la fotocamera. Lasciamo negli armadietti tutti i dispositivi, nutriamo il cervello almeno in quelle poche ore che trascorriamo in giro per corridoi, sale espositive e laboratori. Vi e mi concedo un check-in su Swarm appena arrivati, da rilanciare magari anche su Twitter. Poi basta. #smALTphone

Non è una provocazione né bacchettonismo di professione. Figuriamoci. È una necessità direi evolutiva. È un trattamento sanitario obbligatorio, necessario quando una società è ormai dipendente, come racconta il divertente video della campagna Save yourselfie.

Ne va infatti della qualità dell’informazione che raccogliamo da quelle immersioni artistiche: meno memorizzazione, scarso approfondimento, pessime capacità di analisi e osservazione. Anziché arricchirci, un’esperienza forzosamente intermediata rischia di impoverirci. O nella migliore delle ipotesi lasciarci indifferenti. Non solo l’arte dovrebbe essere offline, come avevo scritto qualche tempo fa. Anche chi ne fruisce dovrebbe entrare in una sintonia diversa, senza distrazioni di alcun tipo. Soprattutto se totalizzanti.

Oggi Repubblica racconta i tanti drammi dei musei di massa con un asfissiante e inquietante servizio di Rachel Donadio del New York Times. Ne esce un quadro desolante: le grandi strutture planetarie – e non serviva la Donadio per scoprirlo – sono fabbriche d’interminabili file, serre tropicali ma, soprattutto, formicai di visitatori da ogni latitudine che circolano caracollando come zombie, telefono in pugno, scattando e postando come non ci fosse un domani. Senza controllo, senza senso, senza estetica, senza niente.

È un fenomeno, quello delle foto ai quadri e alle opere d’arte, solo in parte sovrapponibile alla febbre da selfie (la cui conseguenza, occhio, è la paradossale invisibilità) e alla sua sociopropaggine. Una patologia che certo ha arricchito e aggravato la prima. Una volta ci si giocavano i rullini, ma in fondo il fenomeno riusciva a rimanere relegato quasi esclusivamente al capofamiglia e all’appassionato, salvo il boom degli anni Novanta con le compattine.

Oggi ci si gioca, tutti, ben più di un rullino: un’esperienza spesso irripetibile.

3 commenti
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5 giorni

Condivido l'articolo in pieno, considerando puramente la ricchezza della nostra personale esperienza. Ho provato anch'io, purtroppo, "l'ansia da fotografia e da smartphone": una volta scattata l'agognata foto, proprio come spiegato nell'articolo, si passa oltre come se la missione fosse compiuta... Davvero, talvolta, guardando l'opera solo con il filtro dello schermo! Il problema non è perciò la fotografia in sé, magari effettuata dopo una tranquilla contemplazione, ma quello che ci perdiamo ricercando solo la visibilità sui social. Non dico che questi strumenti non siano da sfruttare in alcun caso per attirare simpatia, ma quando la situazione si sbilancia a sfavore della nostra dimensione interna e della sua "coltivazione", arricchimento, dovremmo rendercene conto e ripristinare un equilibrio.

walterbz Featured

5 giorni

Ennesimo articolo populista sull'onda di socio-pippe retoriche e anacronistiche. Ha ragione su molti punti del discorso. Lo scorso anno ero all'acquario di Genova e mi sono amareggiato (e stufato) nel vedere tutta quella foga di foto, selfie & co.

Non concordo tuttavia sulle metodologie da lei prospettate!

Arte offline? Mon Dieu mi si accappona la pelle! L'arte di tutto ha bisogno tranne che di essere "comandata" e "confinata".

Lasciare telefonini, smartphones e reflex negli armadietti? Beh innanzitutto perché fare un unico fascio di tutti i media. C'è chi fotografa con rispetto, con silenzio, con amore e con stupore...e c'è chi si fa i selfie.

Ma così va il mondo, occorre adattarsi, educare e educarsi NON proibire. Non è quella la via!

Davide Vaccari Featured

5 giorni

Non condivido affatto la tesi dell'articolo. Proprio ora che le aziende stanno investendo in strumenti per aumentare la fruibilità delle opere museali con strumenti come la realtà aumentata, i Google Glass, NFC e Beacons questo articolo va totalmente controcorrente. Il vero problema è la commercializzazione dell'arte che è passata da strumento di conoscenza ad oggetto di consumo. Per capire l'arte (ed apprezzarla) occorre che la scuola in primo luogo prepari sin da giovani ad apprezzarla. Inoltre i musei dovrebbero ottenere finanziamenti per estendere gli orari di apertura delle strutture consentendo, ad esempio, l'accesso gratuito o scontato agli utenti locali nelle ore serali o la mattina presto.

Inoltre sarebbe utile che i media cercassero di promuovere realtà museali minori (come il http://www.museomaga.it/ di Gallarate (Va), il http://www.museoguarrabianca.it/ di Temù (Bs) o http://www.volandia.it tanto per citarne alcuni in Lombardia), diversificando l'offerta invece di proporre sempre le stesse strutture (già universalmente conosciute) che non hanno certo bisogno di pubblicità.